IL MAESTRO DELLA LUCE

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L’OTTOCENTO IN MOSTRA: TIZIANO PANCONI CONVERSA CON CHRISTINA MAGNANELLI WEITENSFENDER

INTERVISTA TRATTA DA “L’APERITIVO ILLUSTRATO INTERNATIONAL QUARTERLY, N.63”

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TIZIANO PHOTO ARTICOLO.

L’Ottocento debutta sotto l’egida napoleonica, e si conclude con le arditezze di nuovi linguaggi. In occasione della proroga al 31 ottobre 2013 di Ottocento in mostra al Butterfly Institute Fine Art di Lugano (Svizzera), a cura del noto professor Tiziano Panconi, storico dell’arte di fama internazionale, nonché massimo esperto della pittura italiana e dell’800, non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione di porgli qualche domanda in merito.

Quale è il rapporto del “bello” con l’Ottocento italiano?

 «L’ottocento fu un secolo nel quale il rapporto fra arte e bellezza fu esaltato dal fiorire di nuove tendenze espressive, quali, in Italia, il Naturalismo e lo stile Belle Époque. Fra gli esegeti del bello vi fu certamente Giovanni Boldini, che con le sue donne di esilarante bellezza, ma non di meno certa pittura di paesaggio, seppe cogliere in quell’epoca gli aspetti di un bello ancora inedito, ritraendo i mille volti della plurisecolare civiltà contadina, fino ad allora del tutto ignorata».

Si può dire che si intravedono i processi di rottura della crisi di sistema che stiamo vivendo già nelle manifestazioni dell’arte dell’ottocento?

«Se parliamo di sistema sociale, certamente la sua crisi affonda le radici proprio nelle speranze tradite del risorgimento. Allo stesso modo, facendo ancora riferimento al bello, sul finire del secolo l’arte è andata man mano dissociandosi dal bello per come era stato fino ad allora inteso, mutuando i canoni della scultura greca. Queste nuove strade che hanno poi condotto all’astrazione della forma e poi alla sua quasi definitiva dissoluzione, hanno prodotto fratture generazionali e forti contraddizioni, spostando il dibattito dal piano estetico a quello ideologico. E sul fronte ideologico, si sa, vale tutto e il suo contrario».

In apparenza l’Ottocento italiano rimane immune ai grandi cambiamenti di cui si ha il sentore in tutta Europa. Quali sono gli elementi che ci fanno intuire, osservando ad esempio un quadro di Boldini, Signorini, o di Fattori, l’incubazione del passaggio all’arte contemporanea?

«Questi artisti sono stati fra i capostipite dell’arte moderna e contemporanea nel mondo. Ed è oggi sempre più chiaro che il loro contributo di modernità sta alla base dei linguaggi espressivi della prima parte del ‘900.
Anche il concetto di “arte contemporanea”, ormai gli studi più aggiornati lo dimostrano, è completamente da rivedere e da riconsiderare nel contesto della grande arte che è senza tempo e non può identificarsi soltanto in uno stile, piuttosto che in un altro».

L’attenzione ritrovata da parte del mercato dell’arte all’Ottocento italiano è dovuto, secondo lei, a quale elemento, oltre che al centocinquantenario dell’Unità d’Italia?

«Le celebrazioni storiche poco hanno a che fare con il mercato. Questo crescendo di prezzi e di interesse è dovuto principalmente alla rivalutazione storico critica del periodo.
Molto hanno fatto per questo alcune grandi mostre del recente passato e alcuni testi fondamentali, come i cataloghi generali di alcuni grandi artisti che danno conto della loro intera produzione, consentendone una lettura completa del fenomeno, soltanto fino a pochi anni fa impossibile».

Ritiene possibile una riconversione dell’Italia alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale?

«Si, assolutamente, ma è necessario un completo cambio di rotta. Nelle soprintendenze, accanto agli storici dell’arte e dei conservatori, sono da affiancarsi
le figure del manager culturale.
Una figura centrale dedicata a valorizzare il patrimonio facendo anche cassa. In questo senso c’è già in Italia un gruppo di lavoro, una consulta tematica interna a un movimento di idee, denominato trentatrepercento, composto appunto da esimi studiosi, piuttosto che da imprenditori del settore, che è al lavoro per presentare un progetto di completa ristrutturazione del comparto beni culturali».

In un momento in cui sembra che tutti cerchino contenuti senza a volte trovarli, quanto è importante “documentare” una mostra? In Italia si è sottovalutato il visitatore?

«Vedo che lei ha colto il problema. Il visitatore è spesso ingannato da una pubblicità che promette molto ma le cui intenzioni, troppo spesso, non corrispondono all’ offerta reale.
Anche le grandi mostre trattano spesso temi che poi non sono adeguatamente approfonditi, sia sotto il profilo della ricerca critica, sia sotto quello fondamentale dell’offerta espositiva. Insomma, le mostre sono prodotti commerciali come tutti gli altri e ce ne sono di buone e di cattive, di eccellenti e di pessime»

Intervista rilasciata a  Christina Magnanelli Weitensfelder per L’aperitivo Illustrato international Quarterly, n.63 Rosso Rubino

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